Rotonda - parte prima

di Maddalena Palazzo

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Rotonda in Età Moderna

La valle del Mercure - Lao, nella quale sorge Rotonda, ebbe origine durante l'era Quaternaria. Ne sono testimonianza i ritrovamenti di antichi animali risalenti a tale periodo come l'Elephas antiquus, i cui resti si possono ammirare nel museo preistorico di Rotonda. Su Rotonda, minuscolo centro della Basilicata, le notizie storiche disponibili sono scarse e frammentarie, tuttavia alcuni manoscritti reperiti nelle biblioteche e negli archivi napoletani hanno permesso di conoscere qualcosa di più sul paesino lucano e sulle sue vicende nel corso dell’Età Moderna. La terra di Rotonda all’estremità meridionale della Basilicata, ebbe origine in un momento imprecisato a poca distanza dall’antica città di Nerulum, situata lungo la via Popilia. Di Nerulum parla la guida geografica dell'antichità “Itinerarium Antonini” che contiene la descrizione esatta delle principali strade dell'Impero Romano, fatta eseguire da Giulio Cesare nel 44 a. C., nella quale si legge che tra Nerulum e Summumarum, Morano, intercorrono 14 miglia romane. Di Nerulum parla anche Tito Livio nel capitolo XII del libro IX delle sue storie, affermando che nel 317 a. C. Questa località venne conquistata dai Proconsoli Emilio Barbula e Giunio Bubulco facendo risalire Nerulum ad età romana o preromana. Il nome del piccolo centro, secondo il geografo Leandro Alberti 1 rispecchiava la forma dell’abitato medievale, con le case costruite in cerchi concentrici sui terrazzamenti della collina, sulla cui cima sorgeva il castello, secondo un impianto urbano che si osserva anche in alcuni centri della vicina provincia di Cosenza, come Morano e Rocca Imperiale; Giacomo Racioppi 2 sosteneva invece che all’origine del nome ci fosse “una qualche costruzione o ruderi antichi di forma rotonda”. Sull’ubicazione precisa della città romana, citata più volte dagli autori antichi, gli storici lucani erano di opinione discorde. Nel 1745 Giuseppe Antonini sosteneva che “Rotonda (…) potrebbe essere il Nerulum”, anche se le distanze riportate in alcuni itinerari di età romana non coincidevano con la posizione dell’abitato moderno, “E quando il Nerulo non fosse la Rotonda – concludeva l’autore – non saprei dove tra queste vicinanze ritrovarlo” 3 Antonini sapeva che, lungo la strada tra Laino e Castelluccio, esistevano “de’ grandi antichi avanzi d’opera laterizia sparsi per quei piani; segni d’esservi stata già alcuna magnifica città”, ma pensava che quei ruderi appartenessero a un altro centro scomparso, chiamato dagli antichi Tebe Lucana. Di diversa opinione fu Giacomo Racioppi, che nel 1889 scriveva: Nerulum si suole situare all’odierno paese di Rotonda: ma ivi non è vestigio di antiche fabbriche. Invece, tra Rotonda e Castelluccio è un luogo largamente sparso di ruderi; ove avvennero ripetuti ritrovamenti di antichi cimeli. 

Qui crederei piuttosto la giacitura di Nerulo; e le antiche misure non si oppongono, anzi conforterebbero. Le prime citazioni della cittadina medievale si trovano in una pergamena del 1083 e “in una carta greca del 1117”, mentre nel cedolario del 1276-1277, relativo al Giustizierato di Basilicata, e in alcuni documenti angioini si parla di Rotunda vallis Layni”, così chiamata per distinguerla dalla vicina Rotondella (“Rotunda maris”)4 Anche sui feudatari della piccola terra si hanno scarse notizie; nel 1415 Giovanna II, regina di Napoli, concedeva la terra di Rotonda a Masello e Angelillo Scannasorice, ma pochi anni dopo, nel 1419, la cittadina risultava infeudata a Ruggero Sanseverino, rappresentante di una delle famiglie più potenti del Regno di Napoli 5.

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1 Su Rotonda cfr. F. SACCO, Dizionario geografico - istorico - fisico del Regno di Napoli, III, Napoli 1796, p. 223; L. GIUSTINIANI, Dizionario geografico - ragionato del Regno di Napoli, VIII, Napoli 1805, p. 76; U. D’AQUINO - V. FITTIPALDI - S. LAURIA, Rotonda (Nerulum), Galatina 1974

2 G. RACIOPPI, Origini storiche investigate dei nomi geografici della Basilicata, in “Archivio Storico per le Province Napoletane” I (1876), pp. 435-495

3 G. ANTONINI, La Lucania, III, Napoli 1745, p. 474. 6 Ivi, II, p. 449. 7 G. RACIOPPI, Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, I, Roma 1889, p. 372

4 G. RACIOPPI, Geografia e demografia della provincia di Basilicata nei secoli XIII e XIV, in “Archivio Storico per le Province Napoletane” XV(1890), pp. 565-582; ID., Storia dei popoli, II, p. 66

5 Sulla famiglia Sanseverino cfr. S. AMMIRATO, Delle famiglie nobili napoletane, I, Firenze 1580, p. 5; C. DE LELLIS, Discorso delle famiglie nobili del Regno di Napoli, 3 voll., Napoli 1654-1671, passim; B. ALDIMARI, Memorie di famiglie nobili, Napoli 1691, p. 144; B. CANDIDAGONZAGA, Memorie delle famiglie nobili delle ProvinceMeridionali d'Italia, II, Napoli 1876, p. 110



Rotonda e i Sanseverino nel XVI secolo

All’apice della potenza dei Sanseverino, le loro proprietà si estendevano tra Salerno e la Calabria, e tra il Tirreno e lo Ionio; i due rami principali della famiglia erano quello dei principi di Salerno e quello dei principi di Bisignano. I Sanseverino di Salerno, discendenti di Roberto, abitavano a Napoli, nel grande palazzo che il capostipite aveva fatto costruire nel 1470 di fronte alla chiesa di Santa Chiara, lungo la “strada de Nido” 1 a pochi metri dal palazzo dei principi di Bisignano 2, ai quali apparteneva anche la terra di Rotonda. Nell’Archivio di Stato di Napoli si conservano i Capitoli stipulati tra il 1495 e il 1507 tra Bernardino Sanseverino, principe di Bisignano, e l’Università di Rotonda (oggi si direbbe il Comune), i cui rappresentanti chiedevano al feudatario di “conceder ad detta università ed a quella confirmar tutti loro capituli, privilegij et consuetudini”. 3 Con l’avvento, nel 1503, degli Spagnoli alla guida del Regno di Napoli, la fortuna della famiglia cominciò la parabola discendente; Ferrante Sanseverino (1507-1568), principe di Salerno, dopo ripetuti contrasti con il viceré Pedro de Toledo fu bandito dal Regno e i suoi feudi furono divisi tra i baroni fedeli alla Corona di Spagna. In quegli anni difficili solo la condotta accorta di Pietro Antonio Sanseverino, principe di Bisignano, riuscì a evitare la rovina dell’altro ramo della famiglia; in questo modo il principe poté lasciare in eredità al figlio Nicolò Bernardino (1554-1606) uno stato che comprendeva nei suoi confini gran parte della Basilicata e della Calabria settentrionale. Ma se il giovane ebbe dal padre “il sangue e gli ricchissimi stati”, non poté ereditarne “virtù e glorie”, e ancora meno la saggezza che aveva permesso al genitore di mantenere intatto il patrimonio nonostante i rovesci di fortuna che avevano colpito la famiglia; a giudizio dei contemporanei Nicolò non aveva “arti da principe” 4 né era in grado di gestire la sua immensa fortuna, che gli garantiva una rendita di 180. 000 ducati l’anno. Nicolò prese in moglie Isabella della Rovere, discendente dai duchi di Montefeltro, ma tra i coniugi nacquero quasi subito profondi contrasti; “lo scoglio fatale, dove urtò la quiete di quella casa, fu l’immatura prudenza d’Isabella, e la prodigalità smisurata del Principe, il quale facea si aggirare da’ suoi oziosi servidori” Nel tentativo di difendere il patrimonio di famiglia, Isabella fece allontanare dalla sua casa decine di servi e di cortigiani, ma alcuni di essi la diffamarono agli occhi del marito e cercarono addirittura di avvelenarla. Negli anni successivi i coniugi si riavvicinarono ed ebbero un figlio, Teodoro, ma presto sorsero nuovi conflitti e la principessa cercò di fuggire per tornare in Umbria; il tentativo non riuscì, perché il duca di Ossuna, viceré di Napoli e amico del principe, ordinò di riportare in Napoli Isabella che, fermata mentre cercava di imbarcarsi, fu costretta a rimanere a Bari; da qui si trasferì per alcuni anni nel paesino di Morano, in Calabria, lontana dal marito. Nel 1595 morì, appena quattordicenne, Teodoro, l’unico figlio della coppia; la principessa, fiaccata dalle sventure e afflitta da una piaga alla bocca che la costringeva a nascondere il viso, ritornò in Napoli per dedicarsi a opere di pietà, la più importante delle quali fu la fondazione della chiesa del Gesù Nuovo, ricavata dalla trasformazione del palazzo dei principi di Salerno. Intanto il principe continuava a dissipare la sua ricchezza girando l’Italia. L’intercessione della viceregina, la contessa di Miranda, fece in modo che Nicolò Sanseverino ritornasse dalla moglie, ma la pace durò poco; il principe, sobillato dai cortigiani, fuggì di nuovo e perseverò in avvenire in que’ suoi dispendiosi vagamenti per l’Italia, né ritornava in Regno, che per mietere a nuova prodigalità le rendite appena spuntate. Rincresceva perciò agli amici, e congiunti lo sterminio di sì inclita casa; di cui sentendone il re Filippo II una tanta rovina, per riparare a tanto precipizio, diede ordine che il principe fosse rinchiuso nel castello di Gaeta, e che come incorreggibile dissipatore, giusta la disposizione delle leggi, gli fosse dato il curatore, come egli avvenne (…) Riuscì non dimeno peggiore il rimedio del male, perché nelle forze de’ curatori vi è più fu dato fondo al dovizioso patrimonio del principe. Un agente del granduca di Firenze, incaricato di compilare una relazione sui feudatari napoletani, lasciò in quegli anni un efficace ritratto del principe di Bisignano: Nicolò Bernardino Sanseverino, Principe di Bisignano, fa per arma una fascia rossa in campo d’argento. Nell’anno 1463 ebbe la casa questo titolo dal Re Ferrante. Ha d’entrata 180. 000 ducati aggravati di un millione e settecentomila ducati di debiti. Non ha arti da principe. È di natura tanto facile che dona tutto quello che gli dimandate. È stato dichiarato prodigo dagli Spagnuoli. Prima il Duca di Vietri, poi Giovan Serio di Somma hanno governato il suo stato. Don Lelio Orsini siccome pretende di essere l’erede così ha domandato il governo, ed havendolo ottenuto, il Principe se gli è fatto contra pretendendolo anche egli. Così il povero Principe di padrone si contenterebbe di essere governatore. Intanto egli va maggiormente in rovina.. Dopo l’interdizione del principe la Camera della Sommaria, che vigilava sull’amministrazione dello stato di Bisignano, ordinò la compilazione di inventari e rendiconti da parte degli amministratori; due inventari delle proprietà della famiglia sono conservati nell’Archivio di Stato di Napoli: il primo, studiato da Giuseppe Galasso, è datato 1594 5, il secondo, ritrovato in un protocollo notarile, è più completo e porta la data1601 6. La lettura dei due documenti dà l’idea della consistenza del patrimonio del principe di Bisignano, che nello scorcio del XVII secolo possedeva 28 feudi in Calabria Citra (Bisignano, Corigliano, San Mauro, Acri, Luzzi, Rose, San Marco, Malvito, Ruggiano, Tarsia, Terranova, Altomonte, Saracena, Castrovillari¸ Morano, Cassano, Trebisacce, Mormanno, Orsomarso, Abatemarco, Grisolia, Buonvicino, Diamante, Belvedere, Sangineto, Bonifati, Sant’Agata e Strongoli) e 16 feudi in Basilicata(Tricarico, Miglionico, Craco, Albano, Calciano, Chiaromonte, Senise, Rotonda, Viggianello, Latronico, Carbone, Tigana, Castronovo, Episcopia, Armento, Monteduro e Policoro), oltre alla terra di San Pietro in Galatina nella provincia di Terra d’Otranto, ricevuta in eredità dalla madre. In tutti e due gli inventari è citata “la terra della Rotonda(…) con un castello distrutto nella parte più eminente, et appresso la piazza una casa palaziata con camere, et sale quasi distrutte” la piazza citata nei documenti dovrebbe essere il piccolo largo che faceva da sagrato all’antica chiesa parrocchiale, intitolata alla Natività di Maria e situata proprio sotto il castello, mentre la “casa palaziata” era forse una residenza per il feudatario. In quasi tutti i feudi dei Sanseverino sorgeva un castello o un palazzo baronale; tra i più cospicui c’erano quelli di Bisignano, di Corigliano, di Altomonte, di Saracena, “con mure, torre, et antimorali con molti membri, et habitationi”, di Cassano, “con diversi membri, et appartamenti, sale camere torre, et altro dove soleno habitare li Principi, et con stalla granne sotto il detto castello” e di Belvedere, “circondato di mure, torre, fosse, ribillini, et fortellezza con diverse habitatione, et con alcuni pezzi di artegliaria, et con carcere”. Appartenevano al principe di Bisignano anche alcune manifatture di seta (l’industria della seta era una delle maggiori entrate della famiglia, che fruttava oltre 30. 000 ducati l’anno), due fabbriche per ricavare zucchero dalle barbabietole(a Belvedere e a Diamante, il cui castello veniva utilizzato come fabbrica e deposito di zucchero), una salina (ad Altomonte), due dimore di villeggiatura a Napoli (una a Chiaia e l’altra a Pozzuoli) e circa 300 cavalli, elencati in un inventario del 1599. Alla fine della sua vita Nicolò Sanseverino, vecchio e malato, si ritirò in Napoli, dove morì nel 1606, lasciando numerosi pretendenti a contendersi il titolo e le ricchezze; nel1622 Rotonda fu acquistata da Ferrante Sanseverino, conte di Saponara, appartenente a un ramo cadetto della stessa famiglia. 7

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1 Sulla strada di Nido e sul palazzo dei principi di Salerno cfr. G. CECI, Il palazzo dei Sanseverino principi di Salerno, in “Napoli nobilissima”, I s., VII (1898), pp. 81-85; F. IAPPELLI - A. SCHIATTARELLA, Gesù Nuovo, ediz. con note, Castellammare di Stabia 1997; E. RICCIARDI, La regione di Nido in una planimetria di inizio Seicento, in “Societas”.

2 Cfr. B. CROCE, Il palazzo Bisignano, poi Filomarino, in via Trinità Maggiore, in “Napoli nobilissima”, II s., XVII (1921), pp. 173-174.

3 Napoli, Archivio di Stato (ASNa), Archivio Sanseverino di Bisignano. Carte, 313, ff. 249-253 [1507]. Una copia dei capitoli e degli statuti dell’Università diRotonda, che vanno dall’epoca di Alfonso d’Aragona al 1622, è in ASNa, Archivio Sanseverino di Bisignano. Carte, 29.

4 G. CECI, I feudatari napoletani alla fine del secolo XVI, in “Archivio Storico per le Province Napoletane” XXIV (1899), pp. 122-138.

5 Cfr. G. GALASSO, Aspetti e problemi della società feudale napoletana attraverso l'inventario dei beni dei principi di Bisignano (1594), in Studi in memoria di Federigo Melis, IV, Napoli 1978, pp. 255-277.

6 ASNa, Notai del XVI secolo, scheda 503, protocollo 17, f. 13 [1601] - Annotatione delli beni del Principe di Bisignano fatta su ordine di Don Lelio Ursino de Duchi de Gravina curatore delli beni predetti.

7 “Ferrante Sanseverino, conte della Saponara, ha duemila ducati l’anno. Pretende anche egli lo stato di Bisignano.“ (CECI, I feudatari, p. 138).

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