ACRE' assai singolare come a volte i sentieri dell'esistenza di persone apparentemente lontane, accomunate magari solo da profonde credenze di matrice spirituale, finiscano per sovrapporsi nell'angusto cerchio della sopravvivenza e riescano a creare, nell'ambito di un inconsapevole comune intento, simulacri inossidabili, punti di riferimento per le contemporanee e future generazioni costantemente in bilico tra esperienza religiosa e storia dell'arte. E quelle immagini, filtrate attraverso l'ingombrante gusto del particolare momento storico e l'alone dei vecchi secoli, ci sono spesso restituite con cristallina veridicità e trasparenza come nel caso del Crocifisso custodito in Miglionico. Un opera d'arte questa, che getta uno spiraglio di luce lungo ben quattro secoli, sulle vicende artistiche e religiose siciliane e lucane del seicento, accendendo i riflettori su due personalità certamente preminenti nell'ambito della già secolare presenza francescana, due padri riformati che si ritrovano, in un delicato momento di riforma dei costumi cristiani per la chiesa cattolica, a incrociare e unire le impronte dei loro impolverati sandali per un amore ardente condiviso e inseguito fino alle estreme conseguenze. Padre Eufemio, il committente e Frate Umile, lo scultore, questi i loro nomi; Miglionico e Petralia Soprana i luoghi della vicenda. I loro connotati biografici sono descritti con autorevole e puntigliosa dovizia di particolari in due opere di sfrontato carattere agiografico, le loro figure sono innalzate e protese dalle descrizioni in direzione della santificazione Nella prima di tali opere, il "Paradiso serafico del Regno di Sicilia " composto nel 1687 dal P. F. Pietro Tognoletto appartenente allo stesso ordine dello scultore e suo contemporaneo, precisamente nella Seconda Parte del Libro VII, al Cap. XXXIII, si apprende che l'artista nacque in Petralia Soprana nella Diocesi di Messina da Giovan Tommaso Pintorno "maestro di legname" e da Antonia Buongiorno (nel 1601 secondo recenti scoperte d'archivio). Era questa una famiglia benestante, la madre apparteneva ad una nobile casa petralese; un matrimonio avvenuto nel 1588 e che aveva dato alla luce ben 16 figli. Il giovane Francesco dopo aver appreso nella bottega paterna i primi rudimenti di quell'arte così preziosa per la quantità e la qualità delle opere che doveva produrre, varcò la soglia di una qualche bottega di scultura in una Palermo pervasa, come del resto tutta l'isola, da un rinnovato fervore artistico guidato dalle correnti ispaniche. I Li Volsi, i Ferraro, i Locascio, i Cagini ed altre intere famiglie di scultori avevano già messo in moto un processo creativo di limpido impegno apostolico, tale da suscitare, attarverso la realisticità, sentimenti profondi di conversione e pentimento. Naturalismo e verismo erano le facce di una stessa medaglia dai chiari intenti pietistici e drammatici; confezionando una nuova tipologia del Cristo Crocifisso, soggetto prediletto dalla mistica fiancescana, ossessivamente attorniato da una sofferenza senza tempo, Frate Umile, così come fu appellato dal novernbre del 1623 quando fece il suo ingresso nei francescani, determinò un vasto movimento artistico che andò ad inspessire il già sostanzioso numero delle sue splendide creazioni scultoree. Da Frate Innocenzo da Petralia a Fra Stefano da Piazza Armerina, da Fra Vincenzo da Bassiano a Frate Angelo da Pietrafitta, presente quest'ultimo nella realizzazione in Basilicata del Crocifsso di Forenza. Era di particolare coinvolgimento emotivo e spirituale la realizzazione di quelle sacre sculture "perfettissime" a giudizio del Padre Tognoletto: "mentre stava lavorando quelle statue egli alzando la sua mente alla contemplazione pensava quei intensissimi dolori, che nella morte soffrì l'Autor della vita". Così nel chiuso di una cella, dove se ne stava serrato dentro intento all'elaborazione del manufatto, con il cuore straziato e le lacrime agli occhi dava mano agli ultimi ritocchi, non prima naturalmente di essersi confessato e non permettendo a nessuno di accedere in quell'angusto luogo di preghiere, raccoglimento e creazione. Fu proprio a Petralia Soprana che spettò il primo di una gran quantità di crocifssi quasi tutti scolpiti a grandezza naturale e che lo videro intento dall'ingresso nel suo ordine nel 1623 al 1639, fin quando, "sorella morte" lo trapiantò a miglior vita: "...essendogli finalmente aggravata l'infermità, e ricevuti tutti i Sacramenti della chiesa con molta devotione, e esemplarità, passò al Signore l'anno 1639, alli 9. di Febraro ad ore dodici vicino l'aurora primo giorno di Quaresima". Padre Tognoletto riferisce: "Scolpì questo servo di Dio come alcuni dicono, da trentatré Imagini del Crocefisso di legno", un numero certamente emblematico se si tiene conto dell'esclusione, nell'elenco che ne segue. di opere come quelle di Polla e Bisignano, le uniche peraltro firmate e datate e naturalmente di quella conservata in Miglionico. E fu proprio in quest'altro pio luogo che prendeva simultaneamente le mosse la restante vicenda umana e religiosa vissuta con il medesimo infervorato ardore. Nell'opera parallela a quella del Padre Tognoletto del R.P.F. Buonaventura da Laurenzana che ha per titolo "Croniche della Riforma di Basilicata" del 1683, si legge che: "Nel Regno di Napoli Provincia di Basilicata è una Terra insigne detta Miglionico... in essa nacque il P. Eufemio l'anno di nostra salute 1576...". Il padre Marc'Antonio Matera e la madre Rossella lo Porco erano di umile estrazione sociale e nel battezzare il proprio figliolo, gli imposero il nome di Giovanni Antonio, il quale: "dopo esser stato da suoi Genitori nelle virtù Christiane ben educato, ...sentendo dentro di sé la divina voce... si risolse... seguire la verace voce del Signore... e Frat'Eufemio fu chiamato". Maestro dei novizi, superiore del suo convento, Custode della Riforma in Basilicata, esperto teologo e predicatore nel Mantovano, nel Veneziano, nel Trentino, in Germania e naturalmente in Sicilia. Ciò che più stupisce compulsando le due biografie sono sostanzialmentee le tappe di una vita completamente votata all'amore, alle virtù cristiane, tappe che combaciano nei tratti prominenti per entrambi i personaggi. In ambedue i testi si menzionano gli "esercizi spirituali", le "continue orazioni", la "santità"; si enumerano i miracoli e le pene corporali che il Signore li degnò di portare non senza sofferenza e con pacata accettazione. Le ore più drammatiche e conformi sono quelle della morte, per Frate Umile: "Fu portato quel devoto corpo da' Frati in Chiesa... fu tale il concorso del popolo, che tagliandoli l'habito per devotione gli mutarono sette abiti, e fu di mestiero mettervi le guardie degl'alabardieri vicino alla bara mandati per ordine dell'Eminentissimo Signore Cardinal d'Oria..."; per Padre Eufemio: "se ne volò al Cielo... restando quello cadavere tutto... a sì divoto spettacolo fu tanto grande il concorso del popolo, che bramava vederlo, toccarlo, baciarlo, e avere per divotione, reliquia di lui, che il Capitano di detta Terra con suoi, insieme con li Frati di quel Convento furono necessitati fare grandissima forza per difenderlo, poiché chi gli tagliava, per divotione, gli capelli, e chi l'habito, del quale era restato mezzo nudo...". Si diparte proprio da queste vicissitudini là storia della sacra icona custodita nelle venerande mura della francescana Chiesa conventuale di Miglionico. Accanto alle fastose ed esuberanti forme del barocco più estremo, convivono le studiate ricerche di un'arte verista che rispecchia la rigorosa morale del popolo di Dio. Ciò che oggi noi contempliamo è la chiara visione di una statuaria che prende forma prima che nella mente dell'artista nel cuore del religioso, l'ardente materializzazione di una vicenda, quella della Croce, che assume corposa consistenza nell'abilità scenica del cromatismo mosso e cangiante, tra le aduste carni e la malinconica animazione del dramma. La cosciente sicurtà dell'espressione di un'inedita bellezza è avvalorata dalla compostezza ancora classicheggiante. Una quiete meditativa avvinghia l'animo rabbrividito di chi esamina, con polarizzata attenzione, centimetro per centimetro l'opera intera; risalendo, tra fiumi e cascate di sangue, le sacre membra, dallo strazio dei piedi orribilmente aggravati e lacerati dall'intero corpo esanime, alle illividite ginocchia memori di violente rese al suolo. Il panno stazzonato aggrappato ad una corda, cingendo i fianchi lascia scoverto il lato destro tutto e poco del sinistro, unico emblema di un barocco dimesso per le sue pettinate movenze che creano gorghi di luci e coni d'ombra; un pirotecnico effetto coloristico nella zona dello slargato torace preannuncia il taglio sorridente della ferita del costato da dove un'accesa lava di sangue e materia fuoriesce ordinata a precipizio fin sulla coscia. Ma impazienti di attendere alla visione di quella parte fatta più volte oggetto di leggende e misteri, tra numerosi ed ulteriori rivoli di sangue, piaghe e tumefazioni raggiungiamo carichi di dolore la testa, il più genuino testamento spirituale del Petralese. In questo punto si focalizzano e si concretizzano i moti dell'animo e la ricerca interiore, la firma più autentica della mano del frate. Qui sono espressi alcuni di quei caratteri distintivi della sua mano: dalla corona a numerosi giri di spine, voluminosa e frastagliata, si dipartono una lunga spina che trafigge il sopracciglio sinistro e un'altra ridotta nella lunghezza che oltrepassa la cartilagine dell'orecchio sul medesimo lato. Il Tognoletto a tal proposito scriveva: "soleva il Servo del Signore a tutte le sue statue di Cristo Crocifisso, che lui scolpiva, mettere nel ciglio una spina pungentissima". La bocca semiaperta lascia intravedere i denti e la rossa lingua, gli occhi rimangono socchiusi, la barba è scandita da leggere volute ad esse, i capelli scrimati nel mezzo ricadono a ciocche arricciolate e sulla spalla dove il capo ossuto si adagia gravosamente ne scendono tre. Questo complesso di tratti distintivi, con la particolare forma del perizoma, con i segni delle percosse posizionate sempre nei medesimi punti del corpo e le scorticature, realizzate con la pergamena, provocate ai polsi e alle caviglie dalle funi, assicurano la paternità artistica allo scultore in questione. Ad avvalorare questi dati meramente stilistici contribuisce la storia indissolubilmente legata alla figura del Padre Eufemio da Miglionico, per il quale è documentata la presenza in Sicilia nel 1629, come ci è dato leggere nei manoscritti dei suoi Sermoni. Difficilmente si scampava dalla sua irresistibile personalità e dal desiderio di ascoltare le sue prediche. Già nel 1626, come ci è tramandato dal "Libro delle Messe", era presente per la missione nell'isola e a questo periodo può essere fatto risalire il primo incontro con il frate-scultore. Ospite nello stesso convento palermitano da dove Frate Umile irradiava la sua preziosa arte, in un sogno apprese per bocca di N.S.G.C. crocifisso di un terribile terremoto in Basilicata e dei suoi confratelli scampati miracolosamente al sisma; presto pensò di fare nella sua chiesa un calvario e ordinò la scultura. Di quel primo viaggio accertato dovè portare con sé un segno già tangibile di quel rapporto con l'artista, documentabile con una statuetta lignea del SS. Ecce Homo che andò a primeggiare nel gran reliquiario da lui commissionato per la sua chiesa di S. Francesco in Miglionico. Dalle ridotte dimensioni, alta appena sessanta centimetri, ha ossessionato per alcune settimane lo scrivente e l'Arciprete di Miglionico, lo storico Don Mario Spinello; i segni distintivi c'erano quasi tutti, dalla spina nel sopracciglio alla bocca semiaperta dalla quale si intravedevano i denti e la lingua, dalle ferite realizzate con la pergamena agli abbondanti tratti di percosse, legature e rigonfiamenti, senza considerare la tragicità dell'espressione e l'abbondante fuoriuscita di plasma. Dopo svariate ricerche una fonte d'archivio ha dato una battuta d'arresto alle prove per l'accertamento dalla paternità artistica, infatti in un "Messale Serafico Romano" vi era un'annotazione del 1878, in occasione di un sommario restauro, che schedava l'opera come appartenente alla mano del Frate Umile e la datava 1627. Non è da escludere che altre statue del Convento siano del frate-scultore, ma solo sapienti lavori di restauro potranno darci risposte rassicuranti. Quasi certamente il Crocifisso ordinato fu ritirato nel soggiorno del 1629 o spedito a Miglionico subito dopo il primo incontro. Sembra comunque collocarsi a metà strada fra i lavori iniziali e le esigue impennate barocche dell'ultimo periodo di attività. Riguardando i crocifissi di Frate Umile e seguendone la cronologia di alcuni, quelli cioè avvalorati dalla presenza di fonti storiche, appare subito evidente che non vi furono evoluzioni graduali; una volta imparata bene l'arte, l'utilizzo di taluni accorgimenti o particolarità fu affidato all'attimo del concepimento artistico. Similitudini e differenze sono percepibili in opere tra loro lontane temporalmente, lasciando in grave dubbio, eccetto per le statue dell'ultimissimo periodo, sulla loro collocazione temporale. Ho imparato seguendo le presenze dei Crocifissi i nomi delle affascinanti e misteriose località siciliane e calabresi che vantano la presenza delle sacre sculture; da Calvaruso a Salemi, da Aidone a Mussomeli, da Cerami a Mojo Alcantara, da Chiaromonte Gulfi a Campobello di Mazara per citarne solo alcune. È stato un puro caso di fortuna se il Crocifisso di Miglionico non abbia subito restauri considerevoli durante i quattro secoli che ci separano dalla sua realizzazione; oggi la statua si mostra come una preziosa e trasparente carta geografica nella quale sono registrate tutte le componenti dell'arte del petralese. I toni dell'incarnato, nonostante l'ossidazione delle vernici e il fumo delle candele, sono tuttora leggibili nella loro chiarezza; la gran copiosità di ferite, tagli e scorticature mostrano la cura dei particolari evidenziata con le diverse tonalità di uno stesso colore; l'anatomia è studiatissima, dai tendini e dalle vene ingrossate realizzate con spago, dalle lacerazioni con l'effetto della carne squarciata e risvoltata fatta con la pergamena, dagli anelli della colonna vertebrale. Il Padre Eufemio dopo aver stabilito la giornata penitenziale per il suo Crocifisso, ovvero il 3 maggio, ha affidato all'intera comunità cristiana di Miglionico la testimonianza di un'arte e di una spiritualità che si rinnova con l'adorazione. I gelosi custodi di questa tradizione festeggiano e ricordano ancor oggi, attraverso i secoli, la Sacra Immagine: dalle nutrite processioni devozionali per le pestilenze a quelle per la grande guerra, da quelle per la carestia a quelle per la pioggia, affinché quel messaggio d'amore verso Dio non sia mai dimenticato... "Vedi queste mie carni, esauste da inedia, peste, da flagelli, lacere, infrante... Guarda questa mia faccia, tutta piena di tristezza, lorda da sputi, livida per le ceffate: guarda queste mie mani già prima legate da funi, ed ora confitte ad un tronco co' chiodi; guarda questi miei piedi, già prima in moto alla traccia delle anime, ed ora inchiodati ad un legno...". Dai «Sermoni di Padre Eufemio da Miglionico-Nella domenica di quinquagesima». (G.S.)