Prov. Pz. Lacorazza in Consiglio su governance Basilicata

“Le province non si devono chiudere ma aprire ad uno Stato più efficiente e meno costoso. Sulla base di questa premessa, occorre chiedersi se in assenza di un modello istituzionale compiuto, di un assetto amministrativo radicato e definito, con uno Statuto ancora sospeso, la Basilicata senza Province resisterà davvero meglio alle tendenze di smembramento che già negli scorsi anni si sono manifestate con la Fondazione Agnelli?".  
"Siamo un po' più popolo della Basilicata, sentendoci potentini o materani, oppure il solco della lucanità supera ogni confine territoriale? Non è un’antica questione che voglio riproporre, anche se l'antico non ha sempre l'odore della muffa e il giallo come colore, ma può invece determinare un dibattito che segni il tracciato della modernità e del futuro”.
Sono gli interrogativi che ha posto il Presidente della Provincia di Potenza Piero Lacorazza, nella odierna seduta del Consiglio provinciale di Potenza, convocata contestualmente a tutti i Consigli provinciali d’Italia, sottolineando come preferisca non chiudere su una difesa dello status quo ma aprire ad una riflessione a trecentosessanta gradi sulla governance di Basilicata.
“Credo si rifletta poco – ha continuato – sul fatto che un'Italia senza Province è un'Italia anche senza capoluoghi di provincia. Un'Italia governata da 20 regioni e 20 città, con delle conseguenze, perché le funzioni essenziali svolte oggi dalle Province dovranno comunque essere espletate, con una drastica variazione di scenario e con gravi disagi nei servizi, nell'immediato, oltre che con un aggravio dei costi. Il punto di fondo è che la crisi, il risanamento delle finanze pubbliche e la crescita esigono uno Stato più efficiente e meno costoso, ma possono anche portare a derive pericolose di arretramento della rappresentanza e dei luoghi democratici. Credo dunque sia possibile una riforma che segua il percorso costituzionale e che inevitabilmente porti anche ad una riduzione del numero delle Province. Una riduzione che, tuttavia, deve muoversi tra le specificità regionali (a meno che non si decida di far saltare anche queste) e le città metropolitane, la cui istituzione potrebbe consentire un’importante e poderosa riforma. E' importante scegliere la via costituzionale da cui far scaturire un’organizzazione dello Stato che sia la fonte primaria in base alla quale, con legge ordinaria, definire il nuovo Codice delle autonomie e stabilire il “chi fa cosa”. I costi e le inefficienze si annidano nelle sovrapposizioni di funzioni, negli enti che rilasciano pareri, in organismi, troppi, non elettivi, e che mantengono un potere non sottoposto ad una reale verifica sia dai preposti organismi di controllo, sia, come accade per noi, dai cittadini e dagli elettori. Per esempio, sono 7000 gli enti governati da Cda o commissari nominati dalla politica che costano 3 miliardi, a fronte dei circa 100 milioni di euro della spesa totale degli amministratori provinciali.
Così come è, il provvedimento sulle province corre dunque il rischio di creare più problemi di quanto si immagini: contratti in essere per le imprese già stretti nella morsa del calo degli investimenti e del patto di stabilità, rallentamento delle opere, nuova allocazione delle funzioni e organizzazione conseguente di chi dovrebbe riceverle. Criticità importanti sia per le Regioni che non potranno assolvere a funzioni amministrative, a meno che, per esempio, non si costituiscano agenzie per gestire le strade, sia per comuni troppo piccoli e non idonei a ricevere funzioni e non ancora pronti a costruire processi unitari, che assicurino dimensioni di scala almeno tra i 40 e i 50 mila abitanti.
Insomma, al momento attuale, manca uno scenario certo e chiaro in cui innestare una nuova architettura istituzionale che possa fare a meno delle Province. Non c’è in pratica una visione capace, se non di esplicitare, almeno di lasciar intravedere quello che dovrebbe essere il punto di approdo della riforma.
In assenza di tale scenario, questo il rischio concreto, le complicazioni possono aumentare, senza rendere lo Stato più efficiente e meno costoso. Tra i punti critici del provvedimento, ad esempio, c'è anche il tema del personale da ricollocare, che porterebbe ad un inquadramento giuridico, amministrativo e funzionale tale da aggravare i costi, sia in termini di appesantimento dei livelli istituzionali sia in termini di risorse economiche.
Il Presidente Lacorazza ha infine messo l’accento sul fatto che la riforma delle Province avverrebbe in una regione che non ha ancora un approdo certo della sua organizzazione democratica, non avendo ancora approvato il nuovo Statuto regionale.
“In questo passaggio incerto – ha sottolineato – avere un territorio provinciale più debole aiuta a rafforzare Comuni e Regione? Sono sufficienti le aree programma? Noi siamo una regione con un grande territorio e pochi abitanti. Abbiamo bisogno, per mantenere l’unità, di un nostro protagonismo nella costruzione di alleanze e cooperazione. Abbiamo bisogno di costruire connessioni e relazioni con le altre città, quali Salerno, Foggia, Matera e Bari. Siamo certi che basta solo il rapporto tra le città? E se bastasse questo rapporto, siamo certi di avere la forza per discutere alla pari? Senza Province, saremmo tutti più deboli, ma noi forse più di loro. Perché, per esempio, Salerno non è solo la città, ma la Provincia, così come per noi è il confine con la Val d’Agri e con il Lagonegrese. Tutto questo ha ricadute sulle infrastrutture, sul trasporto, sulla mobilità, sui servizi sanitari e formativi”.
“Questa mia riflessione – ha concluso – è quindi un sasso nello stagno che offre più di qualche motivazione per il ricorso alla Corte Costituzionale, che non è per noi la difesa dello status quo ma la necessità che la via Costituzionale dia il tempo alla Basilicata di costruirsi un modello in grado di evitare forze centrifughe e disaggregative per una regione che ha già molti problemi. Questo nostro Consiglio vuole essere un contributo alla discussione in atto sulla governance, sapendo che non siamo di fronte a un dibattito tecnico e burocratico ma piuttosto stiamo affrontando una grande sfida culturale e politica. E noi giocheremo, in ogni caso, il nostro ruolo. Qui c'è classe dirigente, esperienza, forza creativa, passione civile e politica. Noi faremo la nostra parte e faremo sentire la nostra voce nell'ambito di una discussione che, come ho provato a dire, sta nel merito. Dentro questo contesto riflettiamo su di noi e sulla Basilicata”.  (r.s.) bas 03

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